ANIMAL PLANET
Galli che mentono alle galline? Cerve che portano il lutto? Cavalli che si vergognano? Fino a pochi anni fa, tutto questo sembrava fantasia, una pia illusione degli amanti degli animali che volevano sentirsi ancora più vicini ai loro beniamini.
È proprio vero, come sostiene da tempo la scienza, che solo noi umani possiamo assaporare fino in fondo la gamma dei sentimenti? È possibile che la Creazione abbia concepito appositamente per noi un percorso biologico particolare, l'unico che garantisca una vita cosciente e appagata?
Se l'uomo fosse una costruzione biologica molto particolare, non potrebbe essere paragonato ad altre specie. Un'empatia nei confronti degli animali non avrebbe senso, poiché non potremmo intuire neppure sommariamente quello che provano. Forse sembra un po' presuntuoso sostenere che un maiale provi i nostri stessi sentimenti, ma la probabilità che una ferita gli scateni emozioni meno gradevoli di quelle che proveremmo noi è pressoché pari a zero.
Nessuno può leggere nella mente di un'altra persona, e neppure dimostrare che la puntura di un ago produca la stessa sensazione in tutti e sette i miliardi di abitanti della Terra. Dopo tutto, gli esseri umani sono in grado di esprimere a parole i loro sentimenti e il risultato di queste comunicazioni aumenta la probabilità che tutti abbiano reazioni analoghe sul piano emozionale.
Sempre più ricercatori stanno rendendosi conto che molte specie animali hanno svariati punti in comune con noi. Vero amore tra corvi? Si dà per certo. Scoiattoli che conoscono i nomi del parentado? Le prove esistono da tempo. Ovunque si guardi, si vedono animali che amano, condividono le emozioni e si godono la vita
Su questi argomenti sono stati pubblicati numerosi lavori scientifici che tuttavia coprono solo minimi aspetti parziali e spesso sono scritti in un aspetto così arido da non prestarsi quasi per niente a una lettura rilassante, tanto meno a favorire una migliore comprensione. 1)
Molte persone cercano disperatamente questo tipo di connessione: gli animali sono la chiave della nostra stessa anima e, per evitare sofferenza e una possibile estinzione, la comunione con la nostra anima è l'ultimo baluardo di speranza che ci resta. La società moderna ha deviato così tanto dal suo percorso, dall'identificazione con la terra, con gli animali, con la natura e con la nostra spiritualità innata, a tal punto che abbiamo apparentemente dimenticato la strada di casa.
«La distanza più ampia che percorrerete sta nel viaggio tra la mente e il cuore». 2)
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GREEN PLANET
Abbiamo maturato nei confronti degli animali (certo, con particolare riguardo per quelli domestici, ma non solo) una considerazione affettiva che ci ha indotto a proteggerli con una legislazione che, per certi versi e paradossalmente, è più stringente di quella che protegge le persone. 3) Gli animali si muovono, hanno reazioni generalmente rapide e osservabili, molte specie addirittura mostrano straordinarie similitudini etologiche con il genere umano. La pubblica opinione reagisce in genere con sdegno e ripugna gli episodi di gratuito maltrattamento o di ingiustificata violenza nei confronti di questi. Che si tratti di cavalli drogati per corse clandestine, o di bovini tenuti in stalle sudice o di cuccioli di cane stipati in anguste gabbie o di un piccolo di elefante al quale i bracconieri hanno ucciso la madre, i sentimenti più comuni sono l’empatia, la commozione.
C'è motivo di ritenere che di fronte alle migliaia di cadaveri vegetali, di ogni età e specie, che si possono contare anche su una piccola superficie percorsa dal fuoco, siano veramente pochi coloro che nutrono similari sentimenti. Se è però vero che anche gli alberi sono vivi, pulsanti, sensibili, reattivi e interagenti, bisognerà prenderne atto in maniera diversa da come si è fatto finora.
E se è vero che le foreste e gli alberi sono stati “manifestazione del sacro”, occorrerà fare in modo che anche questo accresca il loro valore culturale. Forse un giorno, non sarà solo il Royal Botanic Gardens di Sydney ad avere cartelli che invitano i visitatori all’abbraccio degli alberi 4) e sarà usuale vedere gente in siffatto atteggiamento, in città, nei parchi, nei boschi e la cosa non ci sembrerà del tutto stravagante.
Sarà quello il tempo in cui ognuno avrà imparato a percorrere il bosco e a guardare agli alberi in una nuova, più giusta prospettiva.
La dimensione spirituale, religiosa delle foreste e degli alberi, ben nota e della quale pure un gran numero di autorevoli studiosi ha trattato, anche con originali e affascinanti ricerche, è la meno celebrata oggi e il riconoscimento di forme di sensibilità al mondo vegetale, che si stanno scoprendo molto più vicine a quelle del mondo animale di quanto si potesse presumere, pur indagate da tempo e oggi ormai comprovate, suscita scetticismo quando non genera ironia. L’approccio nei confronti di questa nuova “visione” degli alberi, per certi versi dirompente, non può più essere improntato allo scetticismo, ma (prendendo in prestito la regola delle “3 C” della selvicoltura sistemica) dovrebbe essere almeno «cauto nel facile giudizio, continuo nell’attenzione verso la ricerca e capillare nell’estensione dell’indagine». 5)
Il “dogma” di Aristotele (384 a.C. - 322 a.C.) che le piante abbiano un'anima ma non le sensazioni è rimasto incontestato per tutto il Medioevo, fino al XVIII secolo, quando Carl von Linné (Carl Nilsson Linnaeus 1707 - 1778), antenato della Botanica moderna, proclamò che le piante si differenziano dagli animali e dal genere umano soltanto per l'assenza del movimento. Tale concetto fu poi soppiantato all'inizio del XX secolo da un emerito biologo viennese, Raoul Francé (1874 - 1943), che avanzò l'ipotesi, allora rivoluzionaria per i fisici contemporanei, che le piante muovano il corpo liberamente e in modo
aggraziato, al pari del più abile corpo animale o umano, e che soltanto la maggiore lentezza di movimenti c'impedisca di notarlo. 6) 7)
Più tardi, lo svizzero Carl Gustav Jung (1875 - 1961), ricercatore della psiche umana, psichiatra, psicoanalista e antropologo, cercò di definire “il senso dell'albero”, che a suo parere non risiedeva né nelle radici, né nell'alta chioma, ma nel misterioso flusso vitale che circola nel cuore della Terra e al disopra, nel micro come nel macrocosmo. Jung seppe cogliere, come si legge in molti suoi scritti, il senso di affinità dell'uomo con le piante: «Noi siamo piante che camminano (e non lo sappiamo), mentre le piante sono “umani con foglie e radici”, e ne sono perfettamente consapevoli».
Fortunatamente, la neurofisiologia botanica ha ormai da anni dimostrato che fiori, piante e alberi sono in grado di “sentire”, percepire luci, suoni, variazioni termiche e, la presenza, l'intenzione e il comportamento dell'uomo nell'ambiente circostante. Come ogni essere vivente, anch'essi si riproducono, imparano, si adattano, crescono, si difendono, comunicano, si muovono, seguendo tempi, leggi, norme che appartengono al loro regno in tutta la sua unicità. 8)
«Troverai più nei boschi che nei libri. Gli alberi t'insegneranno le cose che nessun maestro ti dirà (San Bernardo da Chiaravalle)». Per questo, molti ricercatori seri e qualificati sono stati e, tuttora continuano a essere, ampiamente screditati e derisi: perché l'umanità non fosse mai edotta su verità ataviche che potrebbero rivoluzionare l'acquisito concetto attraverso il quale, il Sistema, continua a imporre una sua “verità”, preconfezionata e opposta alla realtà, opportunista e
autoassolvente.
«Ciò che accomuna tutte le persone di cui, presto, farete la conoscenza è una capacità rara eppure essenziale in uno scienziato: l’abilità di vedere le cose che ci circondano, in particolare, le straordinarie manifestazioni della vita, prestando loro un’attenzione partecipe … Amando le piante, ognuno di loro ha cambiato un po’ il mondo». 9)
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MINERAL PLANET
Aristotele, il famoso filosofo e scienziato greco vissuto nel IV secolo a.C., spiegava che le rocce erano create dalla luce del Sole e delle stelle. In particolare, secondo lui, le pietre preziose raggiungevano la Terra dopo essersi condensate sulle stelle più vicine! Dalla teoria Aristotelica derivò la convinzione che ci fosse un nesso molto stretto tra il mondo minerale e i corpi celesti. Anzi, si pensò addirittura che i movimenti dei pianeti e delle stelle avessero un’influenza sugli eventi umani, per cui chi nasceva sotto un determinato segno dello zodiaco era protetto dai benefici influssi della gemma associata a quel determinato segno. Ancor oggi ci sono molte persone che, pur non essendo superstiziose, amano adornarsi con la pietra del mese in cui sono nate.
Omero, il famoso poeta cieco che visse intorno all’anno 1000 a.C. scrisse, in una delle sue grandi opere letterarie l’Iliade, che l’eroe Achille, essendo rimasto privo delle armi e volendo tornare, dopo un lungo periodo di inattività, a combattere per vendicare la morte dell’amico Patroclo, si rivolse alla madre Teti, pregandola di fargli avere un nuovo equipaggiamento guerresco. Per intercessione di Teti, fu il dio Efesto (il dio Vulcano dei latini) a occuparsene e fabbricò di persona le nuove armi, tra le quali primeggiava per bellezza artistica il famoso scudo. Efesto aveva utilizzato l’oro, l’argento, il ferro e il rame. Ecco dunque che il nome di questi quattro metalli appare per la prima volta in una delle più antiche opere letterarie.
Gli astrologi della Mesopotamia furono i primi a sostenere che nell’Universo esistesse il Macrocosmo e il microcosmo. Tra i due mondi correvano rapporti molto stretti, sicché gli eventi dell’uno si riflettevano sull’altro. Gli astrologi affermavano che ogni singolo metallo appartenesse a un singolo corpo celeste. L’oro, che è il più perfetto dei metalli, appartiene al Sole, che è il più perfetto dei corpi celesti. In ordine decrescente di perfezione, l’argento appartiene alla Luna, il rame a Venere, il
piombo a Saturno, il ferro a Marte, lo stagno a Giove e il mercurio a Mercurio.
Nei tempi passati gli uomini chiamavano Luna un metallo molto pregiato, dall’aspetto bianco splendente di cui si servivano per fabbricare oggetti ornamentali e anche suppellettili d’uso comune. In seguito quel metallo fu chiamato argento, con una parola d’origine indo-europea che significa appunto bianco splendente. Esso ebbe lunghissima diffusione presso le antiche civiltà, non soltanto per le sue caratteristiche estetiche, ma anche e soprattutto perché è molto facile da lavorare e, a differenza della maggior parte degli altri metalli, si trova allo stato naturale e quindi lo si può sfruttare senza ricorrere a complicati processi di raffinazione.
Non bisogna confondere, però, l’argento naturale con l’argento vivo, che è tutt’altra cosa. Con questo nome gli antichi Cinesi e gli Indù chiamavano un metallo dal colore argenteo ed estremamente mobile, al quale in seguito i Latini diedero nome “hydrargyrium”, cioè argento liquido, e che infine gli alchimisti medioevali battezzarono mercurio.
Il ferro dagli antichi Greci era considerato un metallo raro e prezioso, come risulta da un brano dell’Iliade in cui si dice che Achille offre un anello di quel metallo come trofeo per il vincitore delle gare atletiche svolte in occasione dei funerali di Patroclo. 10)
Pietre preziose “la bellezza cristallizzata”. Un fiabesco sfolgorare di luci, un delirio di sprazzi, barbagli, guizzi colorati, un vivido zampillare di misteriose iridescenze, un’arcana cascata di stelle, una fantasmagorica tavolozza alla quale la natura ha donato le sue tinte più leggiadre! Nella crosta terrestre esistono 1.500 minerali conosciuti, soltanto sedici di essi hanno importanza come pietre preziose.
Forse non tutti sanno che l'aria è anch'essa un minerale come l'acqua, ma certamente pochissimi sono al corrente che marmo, granito, calcestruzzo e altri materiali “si lamentano quando sono aggrediti”.È quanto sperimentato da un docente della Facoltà di Mineralogia dell'Università di Tolosa…
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