Le piante sono delle nostre fantastiche alleate non solo per produrre ossigeno e depurare l’aria, ma anche per disinquinare terreni e acque contaminate (per lo più da attività umane). Il tutto fornendo un vero “servizio ecosistemico” che viene completato dall’inserimento ambientale e paesaggistico (per esempio con la creazione di stagni, zone umide e boschetti) e dall’aumento della biodiversità locale, dal momento che la creazione di questi neoecosistemi attirano numerose specie di fauna e flora selvatica.
Secondo un rapporto tecnico dell’Usda (United Stated department of agriculture-USA) sono state identificate oltre 400 specie vegetali, sia erbacee che arboree ed arbustive, adatte alla fitodepurazione di acque e suoli e in grado così di intercettare composti organici ma anche idrocarburi e metalli pesanti.
Tra queste ve ne sono diverse utilizzate dall’uomo anche in agricoltura o nell’orto. Ecco allora che si è scoperto che Canapa e il Vetiver, ad esempio, si nutrono di metalli pesanti, la Senape indiana assorbe piombo, cesio, cadmio, nichel, zinco e selenio, così come molte specie di felci, mentre il Girasole elimina nichel e cromo, così come anche la Rapa, il Cavolo, il Lupino bianco e il comune Maìs. Anche alberi quali i pioppi e i salici hanno la capacità di assorbire notevoli quantità di metalli duri dal suolo ed anche, quando sono piantati lunghe le rive di un fiume, dalle acque, che vengono assorbite attraverso le radici.
E’ infatti il sistema radicale che costituisce il cuore di questi impianti naturali di “filtraggio e depurazione” che sono alcuni vegetali. Ciò attraverso un processo biochimico e biomeccanico diretto chiamato fitoestrazione che consiste appunto nell’estrazione dei metalli pesanti e composti vari dal suolo da parte delle piante, che poi li accumulano all’interno delle radici e delle foglie. Un secondo meccanismo si basa invece soprattutto sulla sinergia esistente tra i vegetali e vari microrganismi presenti intorno e all’interno delle radici, ovvero microrganismi rizosferici (per lo più funghi, enzimi e batteri). In questo modo si promuove la biodegradazione, più precisamente la fitorizodegradazione in particolare dei contaminanti organici in altre sostanze più semplici e meno nocive che rientrano nella catena alimentare degli organismi del terreno e, col tempo assorbiti da quest’ultimi.
A seconda delle diverse piante, le sostanze inquinanti subiscono un processo differente: possono essere fitometabolizzate, cioè metabolizzate e trasformate in qualcos’altro; fitodepositate, ovvero accumulate dal vegetale; fitoestratte, cioè recuperate dalla pianta attraverso la combustione delle foglie. Durante il processo di fitorisanamento il terreno deve essere sottoposto a continue analisi per capire l’andamento del processo ed, eventualmente, intervenire con altri tipi di piante.
Infatti utilizzando queste qualità naturali da parte dei vegetali di trattenere e/o degradare vari contaminanti, tecnici e scienziati hanno messo a punto vari sistemi di decontaminazione e depurazione di acque di scarico ma anche dei terreni, approfondendo costantemente questo filone di ricerca molto interessante per i suoi risvolti applicativi.
Per esempio in Umbria è nato il progetto Remida (Remediation energy production and soil management), in cui la piantumazione dei pioppi si è rivelata utile per la gestione dei siti inquinati.
In Sardegna invece i ricercatori dell’Università di Cagliari hanno scoperto che l’Elicriso (Helichrysum italicum subsp. microphyllum), una pianta molto diffusa negli ambienti mediterranei ed usata anche come pianta officinale, presenta una grande capacità di trattenere zinco, piombo e cadmio a livello radicale e di limitarne la diffusione nel terreno.
I ricercatori sono partiti da un’esigenza molto concreta: trovare un modo sufficientemente economico ed efficace per disinquinare i terreni delle numerose discariche minerarie presenti nella regione, come quella di Campo Pisano, a Iglesias, che hanno nel tempo causato un forte impatto ambientale sul territorio dovuto al rilascio di metalli pesanti nel terreno, con ricadute negative anche sulla qualità dell’aria, del sottosuolo, delle acque superficiali e sotterranee e con conseguenze che ovviamente si riversano anche sulla biodiversità e la salute umana.
Il lavoro dei ricercatori dell’Università di Cagliari ha mostrato che la pianta autoctona dell’Elicriso sardo è in grado di assorbire i metalli pesanti a livello radicale ma può anche limitare la traslocazione dei metalli negli organi epigei come il fusto e le foglie delle piante. L’elicriso inoltre è in grado di resistere a differenti condizioni climatiche grazie alla sua grande capacità di adattamento ed è quindi un ottimo alleato da utilizzare per bonificare le aree minerarie dismesse e per interventi di fitostabilizzazione.
Infine sempre in Sardegna, nel Sulcis, si stanno testando le capacità di disinquinamento, ancora una volta soprattutto dei metalli pesanti (che in genere sono tra gli inquinanti più tossici e più difficili/costosi da rimuove con i metodi tradizionali) della Canapa, ovviamente utilizzando ceppi a basso contenuto di Thc, sotto lo 0,6%, quindi non assimilabile a quella indica, proibita per legge poiché ritenuta droga leggera. La Canapa tra l’altro sembrerebbe in grado di assorbire anche altri inquinanti pericolosi quali la diossina, come stanno provando a fare a Taranto attorno agli stabilimenti dell’Ilva.
Team di Extrapedia Nature
Credits